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martedì 28 febbraio 2012

La riforma ortografica di Acreàstro Ennannellòro

DOMANDA

Gli editori devono accettare di pubblicare le opere che ò creato e creo nel mio modo differente di scrivere?

RISPONDI SOLTANTO DOPO AVER LETTO LA MIA MOTIVAZIONE

Sia chiaro: non pretendo che si scriva la lingua italiana nella maniera differente in cui la scrivo dal 1989. Io voglio che gli editori accettino di pubblicare le fatiche che ò scritto e scrivo praticando la mia personale riforma ortografica, ormai straconosciuta in tutto il mondo, la cuale — come sto per dimostrare — non è un'invenzione marziana.

Duncue (lo si può verificare consultando un vocabolario, per esempio lo Zingarelli):

  1. un tempo il verbo «avere» lo si scriveva con la «h»: havere. Ciononostante, le prime tre voci e l'ultima del verbo havere al presente venivano scritte anche senza la «h», e cioè ò, ài, à, ànno. Perché? Ovvio: perché in cuesto caso la «h» era (e è) inutile, non avendo alcun valore fonetico
  2. i suoni dolci ce, sce, ge, sge vanno scritti senza la «i», tranne eccezioni in cui comuncue cuesta vocale non è pronunciata, motivo per il cuale anch'essa risulta inutile. Per esempio il vocabolo «camicia» al plurale lo scrivo camíce, perché cuesta è la pronuncia esatta di «camicie», e la grafia di camíce non può essere confusa con la pronuncia di «camice», perché la scrittura di cuesta parola la riformo in càmice
  3. l'ortografia di «cuocere», «cuoio», «cuore» ecc. era una volta quocere, quoio, quore ecc. Ovvero perfino la «q» è una lettera inutile, perché, oltre a avere il medesimo valore della «c» dura, non è utilizzabile se non seguita dalla «u».

Ripeto: non pretendo che si scriva la lingua italiana nella maniera differente in cui la scrivo dal 1989. Voglio soltanto che si accetti che io scriva in cuesta maniera, anche perché con essa simboleggio la diversità che ancora molti non riescono a superare, perdendosi cosí il contenuto, la sostanza, la persona. E poi ogni artista — v. Picasso, per esempio — à una sua caratteristica.

Nel mio gruppo in Facebook, cualcuno vorrebbe capire se la mia riforma ortografica, che come scrivo vuol simboleggiare la diversità, voglia essere di ausilio alla comprensione dei miei testi, già di per sé molto impegnati, oppure una iniziativa a sé stante. Cuesta è ovviamente una provocazione amichevole! È chiaro che una cualuncue riforma ortografica non può essere d'aiuto alla comprensione di testi già di per sé molto impegnati. In cuanto ai miei testi, lo sforzo che dovevo fare, cioè renderli comprensibili, lo sto facendo ormai da anni. Scrivere semplice, facile, in modo comprensibile significa, sí, usare parole comuni, per cuanto possibile, e frasi lineari, non però partorire banalità e, meno ancora, rinunciare all’«impegno»; e su cuesto siamo tutti d'accordo, spero.

Io voglio soltanto poter continuare a «partorire» usando tal mio modo di scrivere, perché esso costituisce ormai la mia firma, come il cubismo, per esempio, costituiva e rimane la firma del citato Picasso. Ossia voglio far valere e mi si aiuti a far valere il diritto di mostrarmi pure simbolicamente nella mia diversità attraverso cuesta singolare riforma ortografica che non andicappa affatto la pronuncia (mentre il mio difetto motorio di parola svantaggia la comunicazione verbale e ciò fa fuggire cuasi tutti).

Nessuno — oso sperare — teme di imparare a zoppicare frecuentando lo zoppo, a meno che tutti siano consapevoli di essere claudicanti in potenza; in cuesto caso sarebbe comprensibile la loro paura di vedere tal difetto attualizzarsi, cualora frecuentassero lo zoppo: povero genere umano!

Ciò che voglio è che gli editori accettino cuella che è, sí, la mia riforma ortografica, ma nel senso di cualcosa che mi distingue e, perciò, fa parte di me. Infatti — ribadisco — con essa simboleggio il difetto motorio di parola, la caratteristica maggiormente invalidante del mio andicap, che non si può nascondere dietro la «normalità» altrui.

Se lettori e editori non accettano il mio modo simbolico di scrivere, significa che rifiutano me in cuanto andicappato.

Tra l'altro non è mio l'orgoglio di «scrivere la lingua italiana come la si pronuncia»: io lo condivido pienamente e, mettendolo in pratica, manifesto coerenza.

Inoltre se difendo a spada tratta la mia «riforma ortografica» è perché cuesto è il mio modo di lottare contro l'ipocrisia di cuanti dichiarano teoricamente di accogliere le diversità e di trattarle bene, mentre in pratica continuano a averne paura o, comuncue, non sono ancora in grado d'instaurare rapporti umani con le varie categorie di persone diverse.

Ognuno è libero di accettare o no cuanto ò da dire (scrivere), anche perché cuello che ò da dire (scrivere) «è riservato» a coloro che sono pronti o, meglio, capaci di com-prenderlo.

Invece a me importa che gli editori accettino di pubblicare le opere che ò creato e creo nella mia maniera differente di scrivere, perché cuesta scrittura mi rappresenta, è ormai la mia firma.

UN GRAZIE SINCERO A TUTTI: PARTECIPANTI E NON!

Sarebbe davvero bello se si comprendesse cuale messaggio, seppur simbolico, si trasmetterebbe rispondendo «Sí»...

Le vostre risposte (= i vostri commenti)

Indifferente No

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