“Ogni epoca ha i suoi pericoli, la nostra è in una determinata fase della crisi del capitalismo, esiste un’“atrofia dell’esperienza” («Verkümmerung der Erfahrung»), come la definiva già Walter Benjamin, e davanti a questa svalutazione dell’esperienza, si esalta il linguaggio, si usano continuamente iperboli oppure all’opposto continuamente eufemismi. Siamo in un periodo di inflazione e anche di svalutazione. Ci infervoriamo in ogni campo, scriviamo senza sosta per mostrare che esistiamo. Penso che sia necessario accettare di “mettersi da parte”, il senso della perdita, lasciar riposare i testi, continuare a fare esperienza delle cose, a costo di rovinarsi, a costo di “perdere tempo”.” – Laure Gauthier
A costo
di perdere tempo. Le
virgolette utilizzate dalla poetessa Laure Gauthier sono un avvertimento
per il lettore: un segno grafico che dovrebbe far sostare l’attenzione sul
concetto di perdita collegato al tempo.
Nella società in cui
viviamo, costantemente connessa ed in continua competizione per la velocità
(per una notizia, per una fotografia, per un post, per il conteggio dei like), l’atto
di lasciar riposare una riflessione – un verso – è considerato una perdita di opportunità;
invece è proprio saper occupare il tempo cercando il silenzio – meditazione
– ciò che potrebbe far comprendere che sì esistiamo come individui ma,
esiste anche un sistema complesso nel quale interagiamo e ci rapportiamo. Saper
aspettare, mettere da parte la fretta dell’ego di mostrare: il consiglio
del poeta è e sarà “regola” e riporta ad un discorrere antico e sempre
valevole.
Laure Gauthier
vive a Parigi ed
insegna Letteratura tedesca e cinematografia all’Università di Reims. La prima
opera, pubblicata nel 2013, è in lingua tedesca (successivamente tradotta in
francese) “marie weiss rot/ marie blanc rouge”. Due anni dopo per la
casa editrice Châtelet-Voltaire viene diffusa la silloge “La cité dolente”
che nel 2017 vedrà la traduzione in lingua italiana per Macabor Editore. Nello
stesso anno per la casa editrice francese La Lettre volée presenta “kaspar
de pierre/ kaspar di pietra” e Bonifacio Vincenzi decide di scommettere
nuovamente sull’autrice proponendone una traduzione per la collana I fiori
di Macabor.
Il Dottore di Ricerca
in Linguistica francese Gabriella Serrone è stata un aiuto valente per
la comunicazione con Laure Gauthier e per la traduzione che ha permesso questa
intervista in due lingue, italiana e francese. Un ringraziamento necessario e
durevole alla sua competenza ed alla sensibilità d’interpretazione e
musicalità, dote non scontata.
In ultima si vuole
avvertire il lettore di un particolare: quando si legge “Kaspar” con la
maiuscola ci si sta riferendo a Kaspar Hauser, mentre quando lo si trova
con la minuscola ci si sta riferendo al libro.
A.M.: Buongiorno Laure, la ringrazio per la
disponibilità che ha mostrato per questa nostra intervista e mi complimento per
l’entusiasmo con il quale è stata accolta in Italia e per la nuova
pubblicazione “kaspar di pietra”. Come prima domanda mi piacerebbe
trattare del compito del poeta nell’era digitale.
Laure Gauthier: Grazie
a lei dell’ospitalità: la letteratura è viva anche grazie a riviste che ne
parlano! Bisogna far attenzione a distinguere tra le interviste, come questa,
che chiariscono versanti nascosti o profondi della scrittura e dall’altra parte
un tipo di comunicazione che può girare a vuoto sui social, dove si comunica
continuamente, e sviare l’attenzione su fatti e gesti un po’ popolari, un po’
di tendenza, che mirano a ricevere un like e dove la scrittura passa in secondo
piano. Se i codici e i mezzi per occupare la superficie sono cambiati, invece,
il fenomeno non è nuovo.
Per
quanto mi riguarda, non ho lasciato carta e penna, poiché scrivo su taccuini,
penna alla mano, scrivo a mano anche i miei libri; nei margini dei libri che
leggo, scrivo qualche verso o frase. La versione scritta al computer è l’ultima
versione del testo, quasi definitiva.
Non vedo
né i social network né l’informatica come un pericolo, ma come uno strumento.
Ogni scoperta tecnica è multiforme. Credo si possano aggiungere opportunità tecniche
senza diventarne schiavi, un tipo di rapporto tra scrittura e tecnologia
analizzato da Magari Nachtergael nel suo saggio Poet against the machine,
cosa che non vuol dire rifiutare e ignorare, ma per me l’essenziale non è il
processo. Questo non mi impedisce di usare uno zoom audio 3-D per registrare
ciò che definisco “transpoemi”, componimenti estratti da varie situazioni e che
possono essere trasmessi alla radio o applicati su installazioni multimediali;
poi, pubblico su Internet, mi interesso alla voce esterna e spazializzata, al
ruolo dell’immagine al di fuori del testo ecc., alla creazione digitale e a
tutte le nuove opportunità che accompagnano la scrittura oppure rivolgono
domande a quest’ultima. Tuttavia, queste opportunità devono necessariamente
essere associate ad una riflessione sullo spazio-tempo della poesia, sulla
necessità di lasciar migrare la scrittura verso altre forme.
Da ciò
che vedo, il pericolo reale è quello della “comunicazione” su tutti fronti,
dell’autopromozione costante che riguarda tutti, persino i poeti. Nei progetti
scientifici chiamati d’eccellenza, ci si deve definire eccellenti ancora prima
di aver realizzato il progetto. Ogni epoca ha i suoi pericoli, la nostra è in
una determinata fase della crisi del capitalismo, esiste un’“atrofia
dell’esperienza” («Verkümmerung der Erfahrung»), come la definiva già
Walter Benjamin, e davanti a questa svalutazione dell’esperienza, si esalta il
linguaggio, si usano continuamente iperboli oppure all’opposto continuamente
eufemismi. Siamo in un periodo di inflazione e anche di svalutazione. Ci
infervoriamo in ogni campo, scriviamo senza sosta per mostrare che esistiamo.
Penso che sia necessario accettare di “mettersi da parte”, il senso della
perdita, lasciar riposare i testi, continuare a fare esperienza delle cose, a
costo di rovinarsi, a costo di “perdere tempo”. Se ciò che caratterizza la
modernità dal romanticismo è una “coscienza della perdita”, forse occorre
accettare di perdere per far fronte alle varie catastrofi in un altro modo.
La poesia
rimane più che mai il genere letterario di cui più abbiamo bisogno ed il più
politico per il lavoro continuo, incessante, estenuante sulla lingua che porta
avanti. Che ci si occupi di prosa poetica o di versi! La differenza sostanziale
tra prosa e poesia consiste nel fatto che nella poesia l’essenziale di ciò che
accade avviene tramite la lingua. Dunque, raramente, un’epoca ha permesso che
la lingua fosse svalutata così tanto: bisogna far fronte ad espressioni
estremamente rigide, anche molto povere, molto funzionali o strapiene di
iperboli vuote, ecc. Scrivere poesia significa affrontare gli attacchi diretti
contro la lingua, provocare piccole scosse per farci prendere coscienza che la
povertà della lingua è povertà di pensiero e di azione. Dunque, la realtà è
spaventosamente complessa e la lingua della poesia può essere, forse con
l’aiuto della psicanalisi, ciò che ci riporta non ad un escapismo
post-romantico, ma alla realtà nella sua complessità fulminante. Da questo
punto di vista, possiamo essere contenti che l’atteggiamento del grande poeta
post-romantico lontano dal mondo non esista più.
A.M.: In “Maison I” si legge: “[…] Mi avete tatuato tutti i
messaggi,/ son diventat la vetrina/ delle vostre mancanze/ Poi sono venuti i
poeti ad imbiancare,/ fintamente rupestri,/ le loro voglie su di me; a
rotolarsi nelle mie ceneri/ per avvicinare ciò che la natura potrebbe ancora
dettare loro,/ santo cielo, l’esotismo!””. Una verace critica verso l’esotismo come
fenomeno che investì l’Europa e che dette inizio alla “trasvalutazione di tutti
i valori” del vecchio continente. Tutto ciò che non è conosciuto diventa
elemento di indagine così Kaspar Hauser diviene una ossessione. Perché il poeta
subisce il fascino di Kaspar?
Laure Gauthier: La
storia di Kaspar Hauser è stata a lungo oggetto di predilezione di poeti e più
in generale di scrittori. In kaspar de pierre la cancellazione del
pronome «io», sostituito da uno spazio bianco, aperto come una ferita, presenta
uno sguardo critico sul sensazionalismo, la stampa scandalistica, il gusto per
le notizie di cronaca e sull’idealizzazione poetica tipica della società
moderna. Rappresentava una sfida per me scrivere nonostante tutto anche un
racconto poetico “contro” l’idealizzazione poetica di Kaspar Hauser. Questo
vale naturalmente per lo stato della nostra società moderna due secoli dopo
quella di colui che è stato soprannominato “l’orfano d’Europa”, per lo stato
della poesia e per il suo rapporto con la realtà e con la lingua. Ho solo
cercato di avvicinarmi a lui, non per appropriarmene, lasciandolo in un
movimento di attraversamento. Il mio libro non è né una decostruzione della
pressione sociale della società positivista come il Kaspar di Peter
Handke, che insiste sulla socializzazione obbligata attraverso l’apprendimento
rigido della lingua, né una ballata neoromantica che idealizza Kaspar Hauser,
come il poema di Verlaine “La Chanson de Gaspard Hauser”, che ne fa un’immagine
del poeta moderno: io mi approccio diversamente alla notizia, senza imitare il
modo di esprimersi di questo giovane adolescente vittima di un trauma e
prigioniero per 17 anni. Rovino leggermente il suo modo di parlare, da oggi,
cercando soltanto di avvicinarmi alla voragine della sua vita, non per parlare
con compiacimento dei maltrattamenti che ha subito, né per osannarlo come
immagine del poeta, ma per presentarlo come singolo individuo che non aveva
doti speciali e non era neppure poeta, ma era un bambino vittima di abusi, che
ha sperimentato la violenza dell’inizio del mondo moderno intorno al 1800. Da
questo passaggio, si aprono questioni sia irrisolte sia represse e quindi
importanti. Credo nelle immagini dialettiche di Walter Benjamin, che si possono
trovare nel passato, non le rovine ufficiali, ma elementi dimenticati o
ignorati che nascondono germogli di ciò che verrà. L’approccio poetico permette
di far cogliere certi tratti della Storia che costruisco con diversi spazi e
tempi. Non è una biografia, anche se ho consultato molto gli archivi, ma ho
situato la voce di kaspar leggermente fuori campo rispetto ai documenti
biografici in altri spazi e tempi che sfiorano quelli che ha realmente vissuto.
Mi sembra sia un altro Woyzeck, il soldato omicida, vittima di meccanismi
sociali e uno dei casi di studio dell’irresponsabilità penale. Ciò che mi
interessa è capire perché (mentre Woyzeck, un altro fatto di cronaca, è portato
in scena più volte, a teatro, all’opera) Kaspar H., a parte rari film, non è
rappresentato, ma lasciato ai giornalisti e ai poeti, quindi alle opere scritte.
Quindi,
c’è innegabilmente qualcosa di trasgressivo nella cronaca, ma è necessario che
i poeti si avvicinino al reale in modo diverso. Mi interessava sfiorare ciò che
la poesia non aveva mai trattato: il tema dei maltrattamenti su minori è
l’ultimo tabù della nostra società, che comincia solo da poco a parlarne. La
violenza sul corpo dei bambini non è “plastica”, ma sostanza da usare per
cronaca, giornali e anche per un tipo di poesia che idealizza. Necessario è
deviare attraverso il linguaggio per allontanarsi dalla violenza sui bambini.
Da questo punto di vista, kaspar de pierre è la continuazione degli
altri miei libri che provano tutti a esplorare le modalità di violenza privata
e sociale del mondo contemporaneo.
A.M.: In “Abandon I” e, successivamente, verso la
fine del libro troviamo una domanda ripetuta: “quante volte si può
ristrappare un lenzuolo/ ?”. Laure, quante volte? Oltre a porre la domanda
ha dato anche una risposta? Quanti lembi di personalità si possono ancora
strappare? E quando si finisce di strappare che cosa resta?
Laure Gauthier: A
questa domanda non posso rispondere. Posso solo porla. Cerco diverse
prospettive che compongono la realtà. A volte, adotto il punto di vista di una
nuvola, delle pietre, cito la terra, ma a volte, bisogna cercare di avere, come
al cinema, un punto di vista soggettivo: partecipare, per un attimo, alla tema,
per poi porsi interrogativi che riguardano ogni individuo. Ponendo la domanda,
inventando appositamente una lingua, ci si protegge dal vuoto e la poesia, se
ha una dimensione politica facendoci stare all’erta, possiede anche una
dimensione rassicurante, ci permette di proteggerci dagli attacchi sia privati
sia collettivi. Troppo spesso, la gente ascolta una canzone per consolarsi dal
mondo e non legge più poesia. Eppure la poesia è, come dice Philippe Beck nel
suo saggio omonimo, Ninnananna e Tromba, quindi consolatoria e vigile, un
richiamo.
Chi è
troppo affranto, troppo lacerato, sfortunatamente, sa, cade, in senso clinico
(e non romantico) nella malinconia, grave forma di depressione… senza desiderio
e senza voglia “oltre la vita”, come scrivo in kaspar. Esistono così
tante forme di violenza sociale, affettiva, tante difficoltà causate dalla
perdita di un punto di riferimento e la situazione è aggravata dalla crisi
sanitaria attuale, che molte persone non trovano il proprio modo di esprimersi
per sperimentare il reale. Credo che la lettura permetta di vedere che diversi
brandelli formano un mantello che può essere solido in una società che, a forza
di vantare positività ed efficacia, diventa portatrice di morte…
A.M.: Un’altra domanda mi ha colpito fortemente. È presente nella lirica
“Résumons-Nous”: “Ma perché la cronaca non racconta che mi son/ perdut nel
giallo?” Che cosa significa
perdersi nel giallo? Domanda connessa ai versi successivi: “delle schegge di
tutti gli/ scheggiati”.
Laure Gauthier: In
apertura del testo, la sequenza “marche” (“marcia”) presenta punti di contatto
con l’arte povera, con una forma di materialità primaria, originaria: la
terra ritorna incessantemente. Un’ossessione per la terra, per le pietre, forse
come per la coreografa Pina Bausch. Qualcosa si muove danzando, una forza
vitale, nonostante le violenze del mondo. È così che immagino kaspar, sia “di
pietra”, una combinazione di elementi, in un io disciolto, sia in una relazione
originaria con il mondo. A parte Werner Herzog, che ha ripreso l’uscita dalla
sua prigione, in modo abbastanza “realistico” in questa sezione, non esiste
opera che cerchi di affrontare cosa significa vedere le nuvole e toccare la
pietra dopo 17 anni di prigionia senza parlare. A furia di idealizzare
eccessivamente la poesia, a volte, vengono trascurate questioni essenziali ed
essa diventa insipida.
Il giallo
citato in questo passaggio è la speranza di vivere, sono i girasoli, il campo
di girasoli che kaspar attraversa. Certamente, non si tratta di un dato
biografico, è un’immagine ed è appena suggerita. “perdermi nel giallo” è allora
la versione condensata di “perdersi in un campo di girasoli”. Tuttavia,
tralascio volontariamente il senso preciso, a volte non termino i versi o le
frasi, lascio che il senso si apra.
A.M.: Saprà di sicuro che in Italia persevera una
vera e propria inclinazione verso i poeti francesi, soprattutto di quel
fortunato Ottocento parigino. Charles Baudelaire, fra tutti, desta maggior
interesse ed ogni anno i critici si cimentano in analisi nuove e reiterate. Ed
in Francia? È stato perdonato per quei versi così poco amichevoli nei confronti
dei parigini?
Laure Gauthier: Baudelaire
è ancora uno dei rari poeti ad essere ancora letti e insegnati. Diverse opere
critiche sono state pubblicate su di lui negli anni 2000 e ancora nel 2010.
Penso ai saggi degli universitari Pierre Brunel o Antoine Compagnon, ma anche
di altri autori come Yves Bonnefoy o Nathalie Quintaine, che hanno studiato la
sua poesia e il suo radicamento nel reale. In Baudelaire, la tensione tra
poesia in prosa e il sonetto è molto importante per me, poiché la mia poesia si
basa sempre su un’alternanza tra verso e prosa poetica. Condivido pienamente
l’analisi di Walter Benjamin che lo considera come primo poeta della modernità
in Francia, che esprime la crisi di senso, la perdita dell’aura. Quindi, sì, la
critica degli autori canonici è ancora viva, quella su Rimbaud e quella su
Baudelaire, ma ci sono fortunatamente anche molte critiche ed universitari che
dedicano le proprie ricerche alla densa e variegata creazione poetica
contemporanea.
Per
quanto mi riguarda, sebbene io sia francese, sono state soprattutto la poesia e
la letteratura tedesca ad avermi segnata molto. Ho vissuto dai 18 ai 27 anni
ampiamente in Germania e mi sono formata molto nella letteratura germanofona:
Hölderlin, Novalis, Celan hanno segnato il mio percorso, ma in particolare
anche Nelly Sachs e Ingeborg Bachmann ed i prosatori Elfriede Jelinek e Thomas
Bernhard. Per il resto, non ho una “classifica”, leggo di tutto ma rimango
ancorata a figure ai margini che riflettono sul loro tempo, come François
Villon o ancora Antonin Artaud.
C’è
un’incredibile vivacità e diversità nella poesia nella Francia odierna. Siamo
in una strana epoca, dove è innegabile ci sia una sovrapproduzione di opere di
poesia, anche di libri informi, dove ci si chiede ancora cosa abbia da dire il
verso libero e cosa sia la poesia, ciò che chiamiamo poesia. E al contempo, ci
sono autori e autrici particolarmente intensi, innovatori che pensano la nostra
società tramite la lingua della poesia che accompagnano, pensano e rinnovano.
Leggo soprattutto quegli autori e quelle autrici per cui scrivere dice qualcosa
sotto una forma intrinsecamente legata a ciò che avviene politicamente:
apprezzo molto poeti come Philippe Beck, Pierre Vinclair, che abbinano ai loro
versi un pensiero poetologico critico, e anche la poesia e la prosa solerti di
Lucie Taïeb, che tra l’altro pubblica anche saggi, così come le opere di Marie
de Quatrebarbes e di Christophe Manon tra racconto e poesia, di Jérôme
Game, i cui testi riconfermano il ruolo dell’immagine, ma la leggo anche Katia
Bouchoueva, Séverine Daucourt, Pascale Petit, Perrine Le Querrec, Sandra
Mousempes, Dominique Quélen e tanti altri ancora.
A.M.: La casa editrice Macabor, oltre ad aver
pubblicato “kaspar di pietra”, ne 2018 ha scommesso sulla sua poetica con “La
città dolente”. Che cosa ha pensato per questo interesse rinnovato? Considera
Macabor Editore come una casa editrice con la “capacità di sguardo”?
Laure Gauthier: Ricordo
che era uscito da pochissimo in Francia il mio libro e Luigia Sorrentino ha
pubblicato qualche estratto sul suo blog (in francese con la traduzione in
italiano), poi ho ricevuto un messaggio di Bonifacio Vincenzi, in cui mi
comunicava il suo interesse per il testo. Qualche settimana dopo mi ha proposto
di tradurlo e mi ha messo in contatto con la traduttrice, Gabriella Serrone!
Naturalmente, devo tanto al coraggio editoriale di questa casa editrice e del
suo editore, del suo impegno nel tempo, alla fiducia per il mio lavoro sin
dall’inizio. Spero ovviamente che questa casa editrice continuerà a rimanere
aperta all’estero e a battersi per la poesia contemporanea.
Inoltre,
ho avuto la fortuna di incontrare altri poeti, in particolare Marco Vitale, che
ha scritto la prefazione di kaspar, ma anche Eleonora Rimolo, che mi ha
invitata a pubblicare nella sua bella rivista web Atelier o ancora Carlo
Pulsoni per la rivista Insula Europa e anche il Festival di Poesia
Ambientale anche con Marco Fratoddi. Inoltre, ho partecipato ad una
performance on line al MAAM di Roma. La collaborazione duratura con la
traduttrice Gabriella Serrone è ugualmente un bel regalo della vita, che ha
aperto un dialogo poetico e amichevole e lei ha già tradotto estratti del mio
prossimo libro les corps caverneux. Devo molto al suo grande
talento di traduttrice!
A.M.: Salutiamoci con una citazione…
Laure Gauthier: “le armi che mi hai dato sono efficaci,
ma non
sono le mie:
mi
batterò a modo mio
con due o
tre sassi e una fionda.”
(Charles
Reznikoff, Inscriptions, tradotto dall’inglese da Thierry Gillyboeuf,
casa editrice: Nous)
A.M.: Laure ringrazio vivamente per le riflessioni
lanciate come pietra sull’acqua, il mio augurio è che possano portare il
lettore a divenire cerchio. Indico uno dei “rari film”: “La leggenda di Kaspar
Hauser” diretto da Davide Manuli; e per ribadire la tematica del maltrattamento
la saluto con le parole di Simone Weil: “È criminale tutto ciò che ha come
effetto di sradicare un essere umano o d’impedirgli di mettere radici.”
Written
by Alessia Mocci
Translated
by Gabriella Serrone
Info
Acquista “kaspar di
pietra”
http://www.macaboreditore.it/home/index.php/libri/hikashop-menu-for-products-listing/product/136-kaspar-di-pietra
Fonte
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