L’Italia ha ufficialmente “riaperto”, molti ristoratori tra difficoltà
economiche e nuovi standard di sicurezza hanno alzato le serrande, ma gli italiani
sono pronti a tornare a pranzare e cenare fuori casa? La maggior parte,
purtroppo, no. Secondo l’indagine realizzata per Facile.it da mUp research e Norstat su un campione rappresentativo della popolazione nazionale
adulta, più di un
intervistato su due (54,5%)
ha dichiarato che, almeno nella prima settimana di riapertura, non mangerà
fuori casa perché non si sente sicuro; il 22% è ancora indeciso e il 10,3%
continuerà ad utilizzare la modalità di asporto o consegna a domicilio. Insomma,
nonostante le fatiche di molti ristoranti, pizzerie e pub, sembra che solo il
13,3% degli italiani tornerà subito a mettere le gambe sotto al tavolo.
Addio al ristorante fino al 2021?
Ma il dato forse ancor più
preoccupante, si legge nell’indagine, è che questa scelta non sembra essere
momentanea ma pare corrispondere ad un cambiamento di abitudine più radicale. Alla domanda “Con
quale frequenza, rispetto a prima dell’emergenza coronavirus, crede che andrà a
pranzo o a cena in un ristorante, una pizzeria o un pub da qui alla fine del
2020?” solo il 21,6% degli intervistati ha dichiarato che ci andrà
con la stessa frequenza di prima; il 60,4%, pari a quasi 26,5 milioni di
italiani, ha invece ammesso che ci andrà meno spesso di prima, mentre il
16,8% addirittura non ci andrà proprio.
A cambiare maggiormente abitudini sembra
saranno i più anziani; nella fascia di età compresa fra i 65 ed i 74 andranno al
ristorante/pizzeria meno di quanto facessero prima dell’emergenza il 63,2% dei rispondenti,
e ancora meno (64,8%) coloro che hanno una età compresa fra i 55 ed i 64 anni.
Distanziamento sociale, che
confusione!
Altro
tema affrontato dall’indagine è stato quello del distanziamento sociale;
se, a livello generale, la quasi totalità della popolazione afferma di aver chiaro
il concetto (solo l’1,2% dei rispondenti ha ammesso di non sapere o non
essere sicuro di sapere cosa sia), guardando più da vicino i frangenti specifici
emerge che sono oltre 29,5 milioni gli italiani che hanno ancora le idee confuse sulle distanze da
mantenere in alcuni dei più comuni contesti quotidiani.
Analizzando le
principali situazioni comuni e luoghi pubblici, quelli in cui i rispondenti
sembrano avere le idee meno chiare sono la spiaggia (il 32,4% dichiara
di non sapere con certezza quale sia la distanza corretta da rispettare), i negozi
di parrucchieri
o saloni di estetica (31,5%), i mezzi
pubblici (23%) e quelli privati come auto e moto (20,6%); ma il dato
che forse più di tutti preoccupa è quello relativo alla distanza corretta da osservare
nei giochi fra bambini; in questo caso, oltre la metà dei rispondenti (il
50,9%) ha dichiarato di non sapere quale sia il comportamento
corretto da tenere.
Se non si conoscono le distanze da mantenere, difficilmente si
possono rispettare; sono molti i rispondenti che hanno ammesso di non essere
sicuri di riuscirci o, peggio, di sapere già da ora che non lo potranno fare.
Ancora una volta il caso più critico è quella dei giochi fra bambini, una
situazione nella quale 1 rispondente su 2 (50,2%) ha dichiarato che difficilmente
riuscirà a rispettare le indicazioni di sicurezza. Ma sono molti coloro che
faranno fatica ad attenersi al distanziamento sociale anche in altri contesti
comuni, ad esempio, sui mezzi pubblici (32,5%) e in spiaggia (30,1%).
I
ristoratori
L’indagine ha poi voluto affrontare il tema del distanziamento
sociale e delle riaperture dal punto di vista degli esercenti della
ristorazione; se, come detto, a livello nazionale solo l’1,2% ha dichiarato
di non sapere o di non essere sicuro di sapere cosa sia il
distanziamento sociale, guardando le risposte fornite alla stessa domanda dal
campione di ristoratori coinvolto nell’indagine, la percentuale arriva
addirittura al 13%.
E se poi si entra
nel dettaglio delle distanze che devono essere garantite all’interno del proprio
locale, la percentuale degli esercenti che non sanno o non sono sicuri di
sapere arriva al 19%; un dato preoccupante se si considera che sono
proprio loro a dover applicare le regole per garantire il corretto
distanziamento tra i clienti. Va detto che la rilevazione è stata fatta prima
della pubblicazione del DPCM, pertanto non vi erano ancona notizie certe
riguardo le distanze definitive cui attenersi.
Molti non hanno riaperto e alcuni non lo faranno più
Nonostante le
oggettive difficoltà, gli esercenti della ristorazione stanno facendo di tutto per
ripartire e hanno già messo in atto moltissime, e sovente costosissime,
azioni per adeguarsi alle direttive nazionali.
Tra le più
comuni, l’86% dei
rispondenti ha detto di aver dotato il proprio personale dei necessari dispositivi
di protezione individuale (mascherina FFP2 e guanti monouso), l’81% ha riorganizzato
gli spazi interni del locale, il 72% ha dovuto procedere a modifiche della
capacità ricettiva, il 71% ha dotato il proprio ristorante di dispenser
automatici per l’erogazione di gel disinfettante.
Pochi, per ora, coloro che hanno optato per l’installazione
di separatori in plexiglass (24%) e ancora meno i rispondenti che hanno previsto
la misurazione della temperatura corporea dei clienti prima dell’ingresso
al locale (17%). Solo il 6% degli intervistati dichiara di non aver
ancora intrapreso alcuna azione.
Nonostante
tutti questi sforzi, però, la situazione rimane molto preoccupante e il 22% degli esercenti intervistati pensa di non riuscire o comunque non è
certo di riuscire, nel proprio locale, a rispettare le distanze malgrado le
misure adottate.
Risultato? Nella prima settimana di riaperture solleveranno
nuovamente la saracinesca solo il 58% degli intervistati; il 10% lo farà
fra qualche settimana, il 25% ha rimandato la riapertura a data da
stabilirsi e, ahinoi, il 7% pensa che non riaprirà mai più.
*Metodologia: n. 505 interviste CAWI ad un campione
rappresentativo della popolazione adulta, in età 18-74 anni, sull’intero
territorio nazionale e 100 interviste CATI ad un campione di titolari di
esercizi di ristorazione (pub, ristoranti, bar, pizzerie). Indagine condotta tra
il 16 e il 17 maggio 2020.
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