“Ad ora la poesia è una bomba disinnescata. Chi
inviterebbe un poeta in un programma televisivo o lo inserirebbe in una
organizzazione come fece Olivetti con Sinisgalli? Nella migliore delle ipotesi
spesso vi si dà un ruolo consolatorio che però si rivolge comunque a pochi. Al
poeta dunque non rimane che fare ciò che il giornalista non può o non vuole
fare e cioè sollevare questioni. In altri fare da portavoce, come ho provato a
fare in Epica Quotidiana.” – Ilaria Grasso
Una bomba. Un’arma senza munizioni. “La poesia è
una bomba disinnescata”.
Ilaria Grasso con accento polemico (πολεμικός) pone
davanti agli occhi l’evidenza dell’assenza del poeta dai programmi televisivi
di attualità e cultura e dalle imprese, e ci ricorda dell’ingegnere e politico
italiano Adriano Olivetti (Ivrea, 11 aprile 1901 – Aigle, 27 febbraio
1960) che nel 1938 assunse il poeta Leonardo Sinisgalli (Montemurro, 9
marzo 1908 – Roma, 31 gennaio 1981) come responsabile dell’Ufficio tecnico di
pubblicità. Olivetti innescò la bomba (βόμβος). Ed il poeta fece gran rumore con
le vetrine ed i manifesti pubblicitari che anticiparono di vent’anni il
movimento artistico Pop-Art.
Originaria di Lucera in provincia di Foggia, Ilaria
Grasso vive a Roma da anni, città nella quale lavora come impiegata. Da
osservatrice sensibile ai bisogni ed ai mutamenti della società, compone
versi e collabora con portali online quali “Carteggi Letterari”, “Poetarum
Silva” e “Zest Letteratura Sostenibile”.
“Epica Quotidiana” è stato pubblicato nel 2020 da Macabor
Editore nella collana “I fiori di Macabor”, con l’elaborazione
grafica della copertina di Giorgio Ferrarini. La prefazione è stata
curata dal poeta Aldo Nove.
“In autobus al mattino la gente stanca/ sale per andare a
guadagnarsi il pane.// Avanziamo isolati dai vetri di una bottiglia/
traboccante di una moltitudine di disperati.// […]” – Ilaria Grasso
A.M.: Ilaria, la ringrazio per il tempo concesso in
questa intervista e mi complimento per questa sua nuova raccolta dal titolo
“Epica Quotidiana”. Rivolgendoci per un attimo al passato: qual è stato il suo primo
passo in editoria?
Ilaria Grasso: Grazie a Lei perché in queste domande
trovo molta cura nella lettura della raccolta da parte sua e anche la volontà
di iniziare un dialogo artistico e culturale sul tema del lavoro e della
contemporaneità. Era uno degli effetti che auspicavo con la pubblicazione di “Epica
Quotidiana”. Ad oggi riscontro una scarsa capacità di concentrazione e una
mancanza di volontà o di contenuti del e nel dialogo. Siamo come persi in una
logorrea infodemica senza precedenti che ci impedisce ascolto profondo e
capacità di cooperare dialogando. Succede a tutti, me compresa. Trovo sia
intellettualmente onesto fare questa premessa prima di partire con
l’intervista.
Bene, iniziamo!
Il mio lavoro inizia con la plaquette dal titolo “Le mie
verdi miniere di sale”. Era una riflessione sul dolore e aveva senz’altro una
radice più intima e intimista ma aveva già in nuce alcune tematiche del lavoro
e di una di quelle che considero una delle tante lotte che dobbiamo mandare
avanti e cioè la questione femminile. E in questo quadro considero donne anche
le donne che non sono nate femmine biologicamente. Ma ritorniamo all’editoria,
cosa a volte diversa dalla letteratura. La letteratura per me si compone di tre
parti. Una è fatta da chi scrive, l’altra da chi legge, la restante parte è
tutta evocazione e mistero e imprevedibile sorpresa. Rappresenta infatti ciò
che ti trovi a scrivere e che nasce scrivendo o ciò che ti trovi a pensare
leggendo. Le mie verdi miniere di sale ed Epica Quotidiana
sono state pubblicate senza la richiesta di alcun contributo da parte mia. La
plaquette è stata pubblicata da Arduino Sacco Editore, una piccolissima casa
editrice che ha scommesso sui miei versi; lo stesso ha fatto Macabor Editore
per Epica Quotidiana. Ho mandato la mia raccolta a svariati editori e in
molti mi hanno richiesto contributi fino a mille euro o hanno risposto che la
raccolta, pur nella sua validità, non era nella loro linea editoriale. Ero sul
punto di affidarmi a una buona tipografia e prepararmi a inviare la raccolta
alle varie redazioni affinché raggiungesse i lettori ma ecco che incrocio nel
mio percorso Bonifacio Vincenzi che con entusiasmo e gratuitamente mi propone
di pubblicare Epica Quotidiana con Macabor Editore. L’ho ringraziato per
questo all’interno della raccolta. Le prime copie mi arrivano a casa nei primi
giorni della quarantena anche grazie al suo impegno. Insomma ringrazio
Bonifacio e la Macabor editore anche per questo!
A.M.: Nella prefazione de “Epica Quotidiana”, lo scrittore
e poeta Aldo Nove scrive: “[…] la “chiusa” (quasi sempre gnomica) delle
poesie di Ilario Grasso è fulminante e lapidaria. […] ogni componimento […] è
più frammento di puzzle che tessera di mosaico, si dà nel suo lacaniano
uno-tutto-solo che non riesce più a farsi coro o movimento (eppur si muove,
eppure sotterraneo r-esiste).” Ritiene che questa descrizione rispecchi i
suoi componimenti?
Ilaria Grasso: Aldo Nove lo conoscevo ma come si conosce
un poeta e uno scrittore e cioè tramite i libri. Avendo letto il suo Sono
Roberta e guadagno 250 euro al mese, che è stato materiale fondamentale per
la mia raccolta, l’ho contattato tramite FaceBook per sottoporgliela e lui è
stato molto gentile rispondendo con entusiasmo alla lettura della raccolta.
Abbiamo parlato molto e mi ha incoraggiato a pubblicarla. Con il tempo siamo
diventati amici e ci sentiamo spesso per confrontarci su varie tematiche e ci
vogliamo bene. Aldo ha da subito inquadrato questo aspetto della raccolta pur
non conoscendo i miei gusti musicali. Parlo dei CCCP e di Giovanni Lindo
Ferretti e di Massimo Zamboni che hanno molto contribuito al farsi del mio
pensiero. Ma ritorniamo a “chiuse”, “mosaici” e “frammenti”. Mi rispecchio
totalmente in ciò che Aldo ha scritto nella prefazione. Rispondo a queste
domande il 29.04.20. Il premier Conte ci dice che il 4 maggio saremo nella fase
2, i cui contorni sono ancora opachi. Sia nella fase 1 che nella fase 2 non
sono stati trattati i temi di chi abita da solo, di chi è disabile o ha figli
disabili, di chi non ha una casa o ancora dei tossicodipendenti e delle
prostitute. O ancora vedo molto disinteresse a parlare delle mafie e della
corruzione. Pochi d’altronde anche gli articoli su questi temi. A fronte dei “Fertility
Day”, nessuno al governo si domanda e propone qualcosa per la salute
psicofisica nei bambini. Come sarà uno stato che non si occupa dei bambini e
quindi del futuro del paese? Anche della cultura si parla poco e dunque chiudo
la domanda con il pensiero di Formica all’interno di un articolo del giornale Il
Manifesto: occorre prima pensare e poi agire. Cosa pensiamo se non
leggiamo? Vedo una strana forma di collaborazione da parte di chi tace o fa
finta di niente per il “quieto vivere”. Ecco, questo per me non è esattamente
far parte di un coro perché anche nel coro il “contro coro” è importante per
fare musica e movimento e ritmo ma al momento, nello scenario attuale, non c’è.
A.M.: La raccolta apre con “Le gesta dei padri” che
comprende dieci poesie dedicate a grandi poeti, dal toscano Franco Fortini al
russo Vladímir Majakóvskij. “Qui a Taranto il rosso dispera./ Ricopre il
bucato appena steso e le facciate dei palazzi./ Ottura occhi e narici. […]”
si legge e subito si comprende, grazie alla forte immagine che il verso riesce
a pennellare, l’incriminato. Perché la poesia è necessaria nella società?
Ilaria Grasso: Erano altri gli autunni e altre le
primavere, ti direi. Questa mia non è una forma di nostalgismo ma una feroce
presa d’atto che dal passato dobbiamo apprendere riducendo il margine di errore
e conservarne memoria ma abbiamo il dovere di pensare più in là del nostro
tempo e del nostro spazio con criteri altri e impegnarci tutti a fare proposte
inclusive. Mi si domanda sottilmente del ruolo del poeta nella società. Ad ora la
poesia è una bomba disinnescata. Chi inviterebbe un poeta in un programma
televisivo o lo inserirebbe in una organizzazione come fece Olivetti con
Sinisgalli? Nella migliore delle ipotesi spesso vi si dà un ruolo consolatorio
che però si rivolge comunque a pochi. Al poeta dunque non rimane che fare ciò
che il giornalista non può o non vuole fare e cioè sollevare questioni. In
altri fare da portavoce, come ho provato a fare in Epica Quotidiana.
Christian Tito, farmacista, poeta e documentarista, non si è mai stancato di
fare poesia denunciando le storture del marketing e della globalizzazione e di
parlare dell’ILVA, svelando gli aspetti più spinosi della questione della
realtà siderurgica più grande d’Italia. Evidenziò infatti l’inquinamento e la
disperazione dei tarantini di fronte ai loro morti e alla propria terra
stuprata dagli interessi che ruotano attorno a quello stabilimento. Lo ha fatto
fino a quando ha potuto. Ora lui non c’è più perché è morto prematuramente.
Tito era in stretto legame con un altro poeta che amo
molto, Luigi Di Ruscio, che molti definiscono, a torto o ragione, il “poeta
operaio”. Testimonianza della loro amicizia è Lettere del mondo offeso,
un libro che raccoglie i loro scambi e riflessioni. Il lavoro che ho fatto con Epica
Quotidiana non è stato solo uno studio monografico e tematico sulla poesia
e letteratura aziendale e del lavoro ma anche scambi con poeti e con registri, di
età e provenienze molto distanti dalle mie. Li ho citati tutti nei
ringraziamenti in calce alla raccolta. Ma torniamo a Tito. In una delle sue
poesie dice “non importa se voi non leggete le poesie/ perché sarà la poesia
a leggervi tutti”. L’ho messa in esergo alla sezione “In-organico” proprio
per evidenziare tutte le riflessioni che sopra ho fatto.
A.M.: Ed è con la seconda parte “In itinere”
che si raggiunge “Epica Quotidiana” con il suo “garbuglio/ di
monumenti e radiazioni” con i “tre semafori di una lentezza disarmante”,
“la gazzarra dei motori” e “la metro gonfia”. Versi che fanno
pensare ad una grande città affollata, rumorosa, ed ad un personaggio che si
aggira quotidianamente in quelle strade. Qual è la fortunata città che ha “tanti
i poeti che mandano avanti il Paese” e che “Lavorano in ufficio o chissà
dove/ per il mutuo o per pagare le spese.”
Ilaria Grasso: La città è quella dove da più di dieci
anni vivo ed è diversa da quella in cui sono nata e cioè Lucera. Come tanti
sono andata via dal Sud per mancanza di prospettive e Roma non è una città che
esattamente ho scelto. Mi ci sono ritrovata più per lavoro che per altro.
Quando ho iniziato a lavorare per la raccolta abitavo a Talenti e per
raggiungere il mio luogo di lavoro che si trova nel quartiere San Giovanni di
Roma impiegavo un’ora e tre quarti del mio tempo all’andata e lo stesso facevo
al ritorno. Più o meno come alcuni miei colleghi che vengono in ufficio da
Napoli o da Viterbo o da zone limitrofe a Roma. Ogni giorno che tornavo a casa
era un’impresa epica, tra cambi d’autobus e scioperi bianchi e malfunzionamenti.
Per non parlare di quando dovevo fare il cambio a Piazzale dei Cinquecento e
camminare controcorrente attraversando altri commilitoni che come me andavano a
lavorare. Parlo al passato perché, dopo un lungo periodo di logoramento che mi
ha procurato forti attacchi di panico che mi hanno costretta a fermarmi per un
periodo di sette mesi, ho cambiato casa, sono molto più vicina al lavoro e ora
la mia esistenza è meno pesante. Sto molto molto meglio. Ecco da dove nasce il
titolo Epica quotidiana e la sezione “In-itinere”. Questa sezione è un
impegno a non dimenticare il mio passato e tenerlo bene presente nelle
discussioni quando parliamo di lavoro e anche di migrazione.
A.M.: In “Ingorgo” si legge: “La
processione avanza sempre nelle stesse direzioni/ tra canini d’acciaio e il
guarire dei motori./ Anche in tangenziale, sempre in mezzo al niente affollati.”
La chiusa, “in mezzo al niente affollati”, è stata donata dal poeta
Giulio Maffii.
Ilaria Grasso: La poesia Ingorgo ha una storia
molto particolare. Quando cambiammo dirigente perché il precedente andò in
pensione arrivò in ufficio Raffaele Saccà. Nella sua stanza aveva appeso dei
quadri molto particolari. Erano degli ingorghi composti da modellini di
macchine, carri armati e aeroplani tutti compressi in un’unica composizione “alla
maniera di Arman”, come dico nella poesia. Quei quadri mi affascinavano
molto e mi davano modo di fare riflessioni sulla contemporaneità. Chiedevo
costantemente a Saccà chi fosse l’autore. Lui era sempre sfuggente nelle
risposte non dicendomi mai chi fosse. Un giorno, forse stremato dalla mia
insistente curiosità, mi disse che era lui l’autore di quei quadri. L’ingorgo
era ed è per me metafora ancora valida per rappresentare cosa siamo noi nella
costrizione delle nostre vite routinarie e bisognose di status symbol che altro
non sono che continuo comprare e continuo desiderio indotto e di cui
probabilmente dovremmo imparare a fare a meno. Da quel giorno di quasi cinque
anni fa abbiamo iniziato un dialogo sulle arti e sul mondo che hanno portato
lui a tenere una mostra personale sui suoi Ingorghi in una delle gallerie del
centro di Roma e me alla pubblicazione di Epica Quotidiana. Molto
importante è stato anche il dialogo con Giulio Maffii, poeta e collega di
redazione. Collaboriamo infatti entrambi con la rivista on line Carteggi
Letterari. Spesso gli mandavo mie poesie su Messenger o via WhatsApp e mi
dava suggerimenti. Quando lesse la prima volta Ingorghi mi disse: “in mezzo al
niente affollati”. Io risposi: “Esatto Giulio! Proprio così! Posso mettere
queste tue parole nella poesia?”. Lui fu molto generoso e mi regalò la chiusa
di Ingorghi. E così quella chiusa si trovò sia in uno dei pannelli della mostra
di Saccà che in Epica Quotidiana. Anche Maffii e Saccà sono presenti nei
ringraziamenti, perché la gratitudine per me è anche una forma di dialogo: in
essa c’è il riconoscimento che è alla base di un discorso autentico.
A.M.: In “Delle umane risorse” si legge: “Forse
un giorno parleremo veramente/ e capiremo davvero chi siamo/ al di là del ruolo
e del mercato.” Poco prima in “Mobbing” si legge: “La consapevolezza a
volte si paga/ ma a pensarci bene/ è uno sforzo sostenibile, anzi necessario.”
Qual è il ruolo della filosofia?
Ilaria Grasso: Nella seconda risposta vi anticipavo già
l’importanza per me della filosofia nella produzione poetica e letteraria.
Senza una struttura di pensiero cadono ponti e costruzioni ma anche impianti
versificatori e stratificazioni linguistiche e concettuali. La filosofia e il
pensiero sono dunque per me fondamentali. “Chi sono io? Chi siamo?” sono
domande fondamentali per l’individuo. Bisogna interrogarsi e avere il coraggio
di ascoltare la o le risposte, prenderne atto, analizzarle ed elaborarle. Già
prima del Covid eravamo di fronte a un mutamento antropologico di cui non tutti
erano perfettamente consapevoli. Dopo il Covid probabilmente avremo, chissà,
anche mutazioni genetiche o biologiche, magari sul funzionamento delle nostre
cellule o dei nostri organi. È tutto ancora sospeso. Nel frattempo auspico la
nascita di una neo ontologia che consenta di ristabilire i criteri di esistenza
di entità come i cyborg o i robot o le IA e solo in seguito concettualizzare in
altro genere di filosofia le relazioni o i significati dei loro segni nel mondo
e nella poesia.
A.M.: Su “Nello stato in cui siamo” si legge
l’Art.1: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sullo stipendio. La
sovranità appartiene a chi la esercita, quando presenti, nelle forme e nei
limiti della tipologia contrattuale.” Qual è il suo pensiero sulla
globalizzazione e sul futuro (ma assai vicino, fin troppo vicino) impianto di
microchip negli esseri umani?
Ilaria Grasso: Il primo articolo di quella stramba e
bislacca costituzione me lo ha donato il mio amico Ubaldo, in una delle tante
riflessioni sul parassitismo e sul familismo amorale, due cancri della realtà
italiana che vanno in crash con la globalizzazione. Il resto degli
articoli li ho declinati io o meglio io e Ubaldo che non ho messo nei
ringraziamenti per sua richiesta specifica che rispetto.
Il nostro atteggiamento di fronte alle tecnologie e alla
modernità è pieno di resistenze al cambiamento che si manifestano con una
enorme rimozione del dolore e dell’errore nella nostra coscienza collettiva e
individuale. Non concepiamo anche di cambiare perché “si è sempre fatto così” o
per una forma di distonia emotiva collettiva che ci porta a reagire in maniera
poco sana di fronte agli imprevisti o alle novità che fanno parte della vita. Quanto
ho iniziato a comporre Epica Quotidiana il mio atteggiamento nei
confronti della tecnologia era assolutamente oppositivo. Poi con il tempo e con
lo studio e l’osservazione della realtà ho compreso che sono anni che siamo
sotto controllo. Ho preso consapevolezza che siamo i dati e la merce che
produciamo e che ci inducono a consumare senza soluzione di continuità.
Dobbiamo arrenderci di fronte a questa inquietante evidenza. Il Covid ha messo
in ginocchio bar, ristoranti, pizzerie e tutto ciò che è svago non solo perché
volevamo ancora dare l’immagine di una società in buono stato ma perché
politiche di vario genere e di varia natura hanno indirizzato il cittadino a
fare delle scelte a favore dell’immagine e del proprio tornaconto personale e
non del contenuto. Non mi spaventa essere controllata. C’è sempre uno schiavo e
un padrone. D’altronde, il BDSM e la letteratura di De Sade, Masoch, la Trilogia
di Roberta di Klossowski e Alfred de Musset in Gamiani o ancora
Pasolini all’interno delle 120 giornate di Sodoma ci svelano proprio
questa importante verità. Nel sesso come nel lavoro diamo sempre il consenso,
attraverso un contratto scritto o meno che sia, e dobbiamo rispettare sempre i
termini di quel contratto. Ad ogni diritto corrisponde un dovere e i diritti
per essere goduti vanno manutenuti, sempre. Ma è il confine a fare la
differenza. E su questo dobbiamo tenere gli occhi sempre ben aperti e agire
responsabilmente per il bene nostro e dell’altro. Ne siamo consapevoli? Lo
facciamo?
A.M.: In questo particolare periodo di isolamento
causato dall’epidemia ha avuto modo di scrivere? È stato per lei fonte di
ispirazione?
Ilaria Grasso: Non sto scrivendo nulla. Mi faccio
sismografo e registro tutto ciò che sento del mondo dalla mia cella claustrale.
Ho un taccuino su cui appunto sensazioni fisiche, notizie, i sogni che fanno
gli altri e le intuizioni che nascono grazie ai confronti con amici, poeti,
qualche giornalista e alle varie chat e gruppi FB che seguo. Mi appunto anche
fantasie erotiche mie e di altri per capire come lavora il senso di imminente
apocalisse sull’eros e sul desiderio. Leggo molto (libri e giornali) e ogni
sera registro un video dove leggo poesia e saggistica. Rappresenta per me una
forma di preghiera laica che mi aiuta a usare la voce e mettermi in connessione
col mondo. Vivo da sola o meglio in compagnia di me stessa e sono immersa
pienamente nel silenzio interrotto dalle sirene delle continue autoambulanze
che sento solo quando ho le finestre aperte. Il mio tempo non è tutto mio. Una
parte lo dedico per contratto alle attività che svolgo “da remoto”. Insomma
sono una smartworker. Mi domando: mi piacerebbe essere sempre in smartworking?
Penso di no perché il lavoro è anche spazio che si trasforma in luogo grazie
alle relazioni che lo abitano. I luoghi di lavoro vanno dunque presidiati e
custoditi non solo perché il lavoro è uno degli elementi che assorbono
maggiormente l’esistenza degli uomini ma perché sono uno degli spazi dove è
ancora certo ci siano esseri umani. Un ufficio deserto credo sia un’immagine
inquietante al pari di quello di una fabbrica dismessa. Quindi per il futuro
sono per un uso moderato e contingentato dello smartworking.
Ma ritorniamo al tema della clausura e alla sua
dimensione predominante e cioè il silenzio. Nel silenzio si manifestano i
nostri mostri interiori ma è anche il contesto che prepara l’epifania di una
intuizione o di una sorpresa. Quando abitavo in Puglia la mia casa era piena di
un silenzio assordante e inammissibile per la mia inquietudine. Ora il silenzio
ha assunto un valore di veglia, di ascolto profondo ma significa anche tempo
lento all’interno del quale contemplare oggetti astratti. Dove pensare e
ripensare. Dove leggere e rileggere libri e punti di vista. Il silenzio è
quella cosa che dovremmo imparare a custodire per il “poi”.
C’è solo una cosa che al momento un poeta che vuole dirsi
tale deve fare in tempi di Covid e cioè tutelare e proteggere la libertà di
pensiero in tutti i contesti.
A.M.: “Sul display del PC leggo: Attività
completata con successo” dunque possiamo salutarci con una citazione…
Ilaria Grasso: Chiunque di noi si trovi a lavorare al PC
per svariate ore è costretto a leggere una frase del genere per cui mi è
sembrato giusto trattare la questione con ironia, dato che nella vita di tutti
i giorni la realtà è alquanto pesante e alienante. Esiste una intera categoria
di lavoratori che non fanno altro che cliccare tutto il giorno e vengono
definiti “click workers”, che poi è il titolo della poesia da cui è citato il
verso con cui inizia la domanda. Chi sono questi lavoratori? Vi lascio la
definizione di clickwork secondo me più lucida ed esaustiva che è di
Roberto Ciccarelli. La trovate in “FORZA LAVORO. Il lato oscuro della
rivoluzione digitale” edito da DeriveApprodi. Eccola qui:
“[Il clickwork è una rappresentazione della forza
lavoro composta da una folla di mansioni depurate dal corpo e dall’intelligenza
umana, disponibili per ogni attività e al servizio di un comando diretto, senza
mediazioni, esercitate dall’infrastruttura digitale. Il lavoratore è un primate
che compone codici su una tastiera senza comprenderli. È il risultato di un
nuovo evoluzionismo: il passaggio dalla forza lavoro che usa un personal
computer alla persona che diventa computer sarebbe il grado finale
dell’autorealizzazione umana]”.
A.M.: Ilaria, le domande generano risposte e le
risposte ulteriori domande. Il fondamento del dialogo con l’altro e con il sé.
Auguro al lettore di inciampare nella lettura di questa tua “Epica Quotidiana”
e di prendere qualche istante della giornata per ragionare sugli interrogativi
che hai proposto in questa intervista. Domande, a mio avviso, valide in ogni
epoca come farmaco (φαρμακός), propriamente come espulsione per giungere
all’agognata catarsi (ἀγωνιάω, κάθαρσις). Saluto con le parole del filosofo ed
orientalista francese Constantin-François de Chassebœuf, conte di Volney:
“Il dubbio, rispose, è forse un crimine?
L’uomo è forse padrone di sentire diversamente da come sente? Se una verità è
evidente e concreta, dovremo solo compatire chi non la riconosce: la pena
scaturirà proprio dalla sua cecità. Se essa è incerta o equivoca, come
trovarle, invece, un carattere che non ha? Credere senza evidenza e senza
dimostrazione è segno d’ignoranza e di stupidità. Il credulone si perde in un
labirinto di incongruenze; l’uomo assennato esamina e valuta, per rendere
concordi le sue opinioni; e l’uomo in buona fede tollera la contraddizione
perché solo da essa nasce l’evidenza. La violenza è l’argomento della menzogna
e l’imposizione d’autorità di una credenza è l’atto e l’indizio di un tiranno.”
Written by Alessia Mocci
Info
Sito Macabor Editore
http://www.macaboreditore.it/
Acquista “Epica Quotidiana”
http://www.macaboreditore.it/home/index.php/libri/hikashop-menu-for-categories-listing/product/103-epica-quotidiana
Fonte
https://oubliettemagazine.com/2020/05/14/intervista-di-alessia-mocci-ad-ilaria-grasso-vi-presentiamo-la-raccolta-epica-quotidiana/
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