“Il
mistero si infittiva, ma una cosa era certissima: in entrambi i due primi
ritratti la somiglianza fisica tra Fausto e il ragazzino imperiale era impressionante,
nel terzo, almeno fino a quel novembre del 1957, Fausto non poteva riscontrare
somiglianze perché lui ventuno anni non li aveva ancora. Però un’altra cosa lo
incuriosì non poco: se era vero che Napoleone II era morto a ventuno anni, come
mai quell’ultimo ritratto, dipinto proprio nello stesso anno del decesso, lo
mostrava tutt’altro che macilento e moribondo, bensì in tutto il fulgore della
sua bellezza di giovane uomo?” – “Il trono del padre – (L’innocenza)”
“Il trono del
padre – (L’innocenza)”, edito nel 2016 dalla casa editrice Bastogi Libri, è un romanzo
psicologico-evolutivo e storico di Massimo
Pinto.
Il libro vede due personaggi principali, due figli, Fausto un giovane romano nato nel 1944
e Napoleone II, figlio del celebre
Napoleone Bonaparte, nato nel 1811. Due figli che sentono l’assenza dei
rispettivi padri e che riescono a dialogare in dimensione diacronica e
diatopica grazie all’ingegno dell’autore.
Massimo
Pinto è nato e vive a Roma, laureato in Economia alla Sapienza
ed in Teologia presso l’Ateneo Romano della Santa Croce. È Croce al Merito
Melitense del Sovrano Militare Ordine di Malta. Nel 1998 ha pubblicato il
saggio “Stato sociale e persona”.
L’autore
è stato molto disponibile nel concedere questa intervista
e nel raccontare la genesi e qualche significato del suo romanzo. Buona lettura
e buona conoscenza!
A.M.: Ciao
Massimo, ti ringrazio per aver accettato l’intervista ed inizio subito con una
curiosità che verte più sul tuo passato. Hai sentito il bisogno di esprimere
con le parole le voci che ti sussurravano in testa sin da piccolo?
Massimo Pinto: Il romanzo appartiene
al filone narrativo, non inventato, ma una volta per tutte codificato da Marcel
Proust. A suo modo è una piccola recherche
che si prefigge di dar voce, sì alla memoria volontaria, ma soprattutto a
quella involontaria, addirittura la memoria invisibile. Dare voce cioè all’“ineffabile”,
anche se sembra uno ossimoro. Tecnica in parte ripresa da Italo Svevo nella
“Coscienza di Zeno” e da tanti altri. Se siete una persona con forte emotività,
volete scrivere e leggete Dostoevskij, vi può piacere, anche molto, ma non
imparate a romanzare, se invece leggete Proust, questa dote nascosta la tirate
fuori automaticamente. Se uno scrive rivelando le emozioni della memoria
involontaria è perché vive in questa maniera e, pertanto, quando scrive di sé,
il proprio ineffabile viene fuori in molte pagine, quando scrive di altri,
anche in questo caso, l’autore crea una memoria involontaria, un ineffabile,
come se fossero veri. È verissimo che,
sin da circa l’età di tre o quattro anni, io ho giocato mentalmente con una
invenzione tutta mia: ero un monarca in erba e in incognito, che aspettava
l’investitura e, nel frattempo, doveva condurre una vita normale, sempre in
incognito, o quasi. Infatti nella mia testa c’era un trasmettitore, ruotando le
manopole del quale io mi mettevo in contatto con il popolo, che, solo in quel
momento, veniva a sapere chi fosse quel bimbetto e me ne dava dimostrazioni.
Quando chiudevo le manopole tornavo in incognito, ma anche tutte le persone
dimenticavano la verità. Che posso dire? Che ne so perché? Però anche le
reazioni della gente, quando aprivo le manopole, che mi sorrideva di più, mi
dava magari una caramella, faceva posto a mamma e a me sul filobus, mi
convincevano che fosse tutto vero, anzi era proprio una conferma. E sono andato
avanti così. Quando, per la prima volta nella mia vita, a nove anni
in quinta elementare perché ero un anno avanti, venni in contatto con la figura
del figlio di Napoleone e lessi, più o meno: -Napoleone ebbe un figlio allevato
alla corte di Vienna, che però morì giovane, dopo una vita di stravizi e
mollezze – mi ribellai, perché non mi parve vero, perché quelle notizie
sembravano troppo sbrigative, perché dovevo saperne di più. E così, alle medie,
al ginnasio e al liceo: - il figlio di Napoleone morì tisico tra dissolutezze e
vizi -. Non mi bastava: mi documentai meglio, feci ricerche, anche perché i
libri, sia pure con maggiori dettagli, mi apparivano sempre reticenti e io
sentivo ormai forte il richiamo di quel ragazzo che sembrava dirmi: - Non è
vero quello che dicono di me. Io non sono stato quello che hanno scritto. Mi
hanno imprigionato, mi hanno umiliato, mi hanno ucciso. Rendimi giustizia tu! –
E allora gli ho reso giustizia, informandomi, leggendo, guardando. E man mano
che mi informavo lo sentivo sempre di più come un fratello, con infinita
tenerezza, pietà, condivisione e anche ribellione per quello che gli avevano
fatto. Così è andata. L’unica cosa che mi ha meravigliato che, come scrivevo di
Fausto quasi sotto dettatura, perché in fondo ero io, egualmente ho scritto di Napoléon II come se qualcuno me lo
dettasse, non nelle rievocazioni storiche o ambientali che hanno richiesto
faticose ricerche, ma nelle situazioni e nei dialoghi, come se, invece che
dall’invenzione dello scrittore, questi scaturissero dalla mia memoria. Troverete un
completamento della mia ispirazione nel volume di poesie di prossima
pubblicazione “Cento farfalle e… più”, mentre sarete sorpresi dal verismo del
romanzo che sto scrivendo “La normalità del ladro”. Non dico di più. Perché scrivo
soltanto adesso (letteratura dico)? Perché adesso ho tempo.
A.M.: “Il
trono del padre – (L’innocenza)” è la tua nuova pubblicazione, un romanzo tra
lo storico e lo psicologico-evolutivo. Quanto tempo hai impiegato a stenderlo
considerando le 500 pagine ed il notevole studio degli argomenti trattati in
quanto una parte del romanzo è ambientata all’epoca di Napoleone Bonaparte?
Massimo
Pinto: Intanto nella identificazione dei
generi letterari dell’opera metterei al primo posto quello
psicologico-evolutivo e poi quello storico: i due “eroi” sono in realtà la
stessa persona. La forte connotazione storica delle due vicende, con tutti i
suoi particolari dettagliati, risponde a due esigenze: quella di dimostrare
come gli avvenimenti di contorno influiscano, e molto, sul percorso formativo,
anche di due bambini apparentemente ignari, e come drammaticamente orientino la
nostra vita. È difficile dire quanto tempo ho impiegato: il romanzo era nella
mia testa da anni, anche inconsapevolmente e quindi a Parigi, a Roma a Vienna
giù a documentarmi. Poi, circa un anno prima di iniziare la scrittura, ho
redatto numerosi files, infine il
romanzo l’ho scritto con quei files a
disposizione e con cinque - sei volumi sempre aperti (più che altro per la storia
di Napoléon II e meno per Fausto). A
quel punto non è stata difficile né lunga la gestazione, precisamente sette
mesi, dal 15 ottobre al 15 maggio successivo, per un totale preciso di 523
pagine. Per fare un esempio la lunga scena dello stupro subito da Fausto a
sette anni l’ho scritta in mezz’ora e non è stata mai più corretta o modificata
(potrai immaginare perché). Il titolo era in qualche modo obbligato perché i
figli maschi hanno sempre il miraggio di conquistare il trono del padre, vero o
metaforico che sia questo trono, anche e soprattutto se il padre è ben
identificato ma assente.
A.M.: Il
romanzo presenta due dediche. La prima a Ludovica e Lorenzo, che penso facciamo
parte della tua famiglia, magari sono i tuoi figli oppure i tuoi genitori. La
seconda dedica, invece, la si incontra nella prefazione che hai curato tu
stesso e recita: “Dedicato a tutti i
padri e figli, affinché i primi non rinuncino mai al loro ruolo, costi quel che
costi, e i secondi siano indulgenti.” Volevo dunque sapere quanto è
importante la famiglia nella tua vita e se ritieni di aver sbagliato qualcosa
di molto importante.
Massimo Pinto: Sì ho sbagliato come
tutti anche io, come Graziano, il padre di Fausto, e come Napoleone, il padre
del “Re di Roma”. Però bisogna sbagliare “facendo” piuttosto che “non facendo”,
questo è imperdonabile. L’indulgenza dei figli, poi, è la cosa più negletta, eppure
più utile, per un buon rapporto, ce n’è tanto bisogno: un figlio indulgente con
il proprio padre sarà senza dubbio un padre migliore a sua volta. Desidero
porre, come spunto di riflessione, una serie di significati dell’opera. Ciò non
toglie alla libertà del lettore di trovarne altri. Dunque il primo e più
importante significato è il rispetto dei minori. E non intendo soltanto il
rispetto fisico ma soprattutto il rispetto morale, il rispetto della loro
libera evoluzione, l’assenza assoluta di tentativi di manipolazione, il non
farne mai strumento dei propri fini. E per “minori” non intendo soltanto il
bambino, il ragazzo, l’adolescente, ma tutti coloro che sono più deboli di noi.
Altro significato evidente è la responsabilità genitoriale di un sano, e
attivo, rapporto con i figli e, nel caso specifico, si analizzano molto le fasi
di maturazione del maschio, molto utili per una lettrice. Di seguito enuncerei
l’assoluta assenza di classi sociali nel comune sentire umano. Ulteriori
significati non meno importanti sono: la predestinazione, il libero arbitrio
(così caro alla tradizione cristiana ma che io ritengo inesistente quasi o
fortemente attenuato, posizione che, un tempo, mi avrebbe attirati i roghi
della Santa Inquisizione), i condizionamenti, la responsabilità nel peccato e
nell’agire e, grande come una casa, l’innocenza ontologica dell’uomo (infatti
il sottotitolo dell’opera, come avrai notato, è “l’innocenza”). Infine vi sono
argomenti solo accennati quali, ad esempio, il significato dell’esistenza
umana, quale “illusione” di un mondo immanente che forse, nel mistero della
trascendenza, neppure in realtà esiste. Perché noi in realtà viviamo in un
universo imperfetto, perché frutto di una parzialità e di una disarmonia di un
tutto, o niente, per noi inimmaginabile. Da ultimo: la tolleranza. Il romanzo
insegna proprio questo, la tolleranza, ma più che la tolleranza che sottintende
sempre un atto di sopportazione, una condiscendenza, la assoluta normalità di
rapporti nei riguardi di chi, per caso, fosse diverso da noi, anche per
orientamenti sessuali. E, infine, c’è il dolore intrinseco della vita, che
coinvolge tutti, ma proprio tutti. Tutti massimi sistemi che vengono enunciati
non perché io mi senta un novello Galilei, ma semplicemente perché i massimi
sistemi possono essere, anzi devono, alla portata di tutti. Sta al lettore
trovare altri significati, perché, anche a me che l’ho scritta, quest’opera
parla da sola ed è lei che, adesso, mi svela cose che non sospettavo neppure
io, come se l’avesse scritta un altro.
A.M.: Dunque
ci troviamo di fronte ad una voce narrante che ci trasporta in due storie
parallele connesse da frequenti flashback e flashforward di ottimo gusto. Pensi
sia complesso leggere questo libro?
Massimo Pinto: Questa
è una narrativa all’interno di sé stessi, piuttosto che fuori da sé: Lo stile
piano, chiaro e, mi dicono, elegante, facilita la comprensione. E da spiaggia?
Perché no? Certo non racconta un fatterello e richiede, più che attenzione
ferma, una dose di concentrazione per coglierne i significati, anche quelli non
voluti da me. Ma è tutt’altro che faticoso, si presta a una lettura lenta,
ferma e continua. Perché lo consiglio? Ebbene perché chi lo ha letto mi ha
ringraziato. Alcuni si sono sentiti così coinvolti emotivamente da doversi
assentare dal lavoro (non era mia intenzione!), altri asseriscono di avere
appreso fatti e sensazioni che non conoscevano, altri ancora, infine, una volta
terminata la lettura (alcuni l’hanno letto due volte di seguito), si sono
sentiti orfani. Che dire di più?
A.M.: Domanda
difficile. Nel romanzo si racconta della costruzione dello Stato di Israele.
Che cosa pensi della politica dello Stato oggigiorno e di come vengono portate
avanti alcune situazioni palestinesi?
Massimo Pinto: Non
ho difficoltà: gli Stati non devono mai essere confessionali, e, purtroppo, lo
Stato di Israele lo è, contribuendo alla formazione di un abbozzo di un altro
Stato confessionale, ancora non perfettamente formato e riconosciuto, che
sarebbe l’Autorità Nazionale
Palestinese.
Dal punto di vista del Diritto Internazionale, queste due entità hanno non
poche situazioni di illegalità (Cisgiordania e la stessa Gerusalemme) e di
impossibilità di convivenza (colonie ebraiche nei territori palestinesi e
indeterminazione e frammentazione del territorio arabo). Sin dall’inizio, con
l’imposizione dell’ONU, si doveva obbligare le Parti a costituire un solo
Stato, multiculturale, multietnico e plurireligioso col nome di Palestina, con
rappresentanze parlamentari proporzionali. Un disegno di grande spessore etico non
adatto soprattutto agli Ebrei ma neppure agli Arabi, eppure quanto mai
necessario.
A.M.: C’è
una poesia molto bella che citi nel romanzo: “Al chiaro della luna,/ Amico mio Pierrot,/ Prestami la tua penna/ Per
scrivere una parola./ La mia candela è morta,/ Non ho più fuoco./ Aprimi la tua
porta/ Per l’amor di Dio!/ Al chiaro della luna,/ Pierrot ha risposto:/ Non ho
una penna,/ Sono nel mio letto.” Che cosa simboleggiano per te questi versi
della celebre canzone popolare francese del XVIII secolo?
Massimo Pinto: Semplice:
che non tutti sanno cogliere l’amore e rimangono soli. Ma quando due si
innamorano, e si riconoscono, il loro universo è completo, non hanno bisogno di
niente altro né di altre persone e, soprattutto, non ci sono per nessuno.
A.M.: Quali
sono gli scrittori che da sempre ti hanno affascinato? Quali libri hai sul
comodino?
Massimo Pinto: Che
dire? Pavese, Svevo, Calvino, Ginzburg, Maraini, Morante, Donna Tartt,
Carofiglio, ne dico un po’ a casaccio e ne tralascio tanti. Sono molti quelli
che mi piacciono ed emozionano, ma sono molti di più coloro che non mi
piacciono, tra i quali il grande (non per me) Moravia. Sul comodino? Nessuno
perché da presbite, con l’impaccio degli occhiali, non posso leggere a letto.
Ho letto recentemente “La scuola cattolica” che non è un romanzo bensì un
saggio e una interminabile noiosa masturbazione ripetitiva, senza mai
raggiungere l’orgasmo. Tutti i “Premi Strega” degli ultimi anni sono uno
scandalo per la cultura, per sciatteria e povertà. Adesso sto leggendo “Bella vita e guerre altrui di
Mr. Pyle, gentiluomo” di Alessandro Barbero, che a suo tempo mi era sfuggito:
carino, anche divertente se vogliamo, però, in certe pagine, noioso, non
revisionato come sarebbe stato meglio per conferirgli ritmo. L’autore è un
genio della storiografia, ma da questo ai Premi Strega del dopoguerra c’è un
oceano. Naturalmente non pretendo di essere condiviso nei miei giudizi.
A.M.: Hai
presentazioni del libro “Il trono del padre (L’innocenza)” in programma a
breve? Puoi anticiparci qualcosa?
Massimo Pinto: C’è
stata una presentazione mercoledì 18 gennaio 2017 alle 17:00 presso la
prestigiosa sede dell’Accademia G. Belli a Roma. Il Prof. Carlo Volponi
(critico letterario, giornalista e Vice Presidente dell’Accademia Belli) ha
presentato la serata. Presenti anche come relatori il Dott. Massimiliano Grotti
(consulente letterario ed editor); la Responsabile ed editrice di Bastogi Libri
Roberta Manuli e il Direttore di Bastogi Libri, il Dott. Angelo Manuali. La
prossima presentazione sarà a Firenze, ma non posso ancora rivelarvi la data
perciò seguite l’aggiornamento delle news sul sito della Bastogi ed il romanzo
dovrebbe essere in concorso per i premi letterari il Casentino ed il Giuseppe
Dessì.
A.M.: Come
ti trovi con la casa editrice Bastogi Libri? La consiglieresti?
Massimo Pinto: Hanno
una gloriosa tradizione alle spalle, molta buona volontà e onestà oltre a
cultura, competenza e simpatia personale. Difettano nella promozione per
mancanza di mezzi adeguati. Nell’attuale caos dell’editoria li consiglio senz’altro.
A.M.: Salutaci
con una citazione…
Massimo
Pinto: “Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti
anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose
che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e
tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani,
sulla storia di domani del genere umano”. - Italo Calvino dal romanzo
"Il sentiero
dei nidi di ragno"
A.M.: Massimo, ti ringrazio per questa interessante
intervista ed invito i lettori a concedersi la lettura del tuo romanzo perché
potranno uscire arricchiti di un’esperienza che vale la pena vivere. Alla
prossima!
Written by Alessia Mocci
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