“[…] Fausto prese
spunto dalle recenti conquiste della fisica e dell’astrofisica. In particolare
lo attrassero due aspetti: il primo fu la prova dell’esistenza della antimateria,
una realtà materiale e fisica perfettamente eguale a quella che conosciamo e
che viviamo, ma opposta. […] Il secondo aspetto, che proveniva
dall’astrofisica, era la prova dell’esistenza dei “buchi neri” nello spazio
siderale. Tale fenomeno avviene attorno ad un corpo celeste estremamente denso
e dotato di un’attrazione gravitazionale talmente elevata, che la velocità di
fuga dalla sua superficie risulta superiore alla velocità della luce.”
In apertura del primo capitolo de “Il trono del padre – (L’innocenza)”, denominato “La palude”, è il
22 novembre 1957 e siamo a Roma in una poetica cornice di vampate luminose che
accedono lo studio nel quale Fausto era solito sostare con i libri di scuola.
Fausto, nato nel 1944
figlio di una guerra che ha piegato l’Italia, “si era nutrito, prima nella placenta e poi dal seno della madre, in
un’atmosfera di tanto odio e paura, soprattutto paura, venne fuori con un
carattere insicuro, titubante, ansioso, timoroso, spesso angosciato, schivo e
malinconico, ma anche del tutto imbelle e pacifico, che contrastava con
un’intelligenza prontissima e precoce, osservatrice occhiuta del mondo
circostante, anche con ironia”.
Se la Seconda Guerra
Mondiale produsse molti orfani, non di meno il post guerra rese ardua la
comprensione dei fatti che portarono alla caduta di un impero che faceva capo a
Benito Mussolini.
Fausto fu soggetto ad
un amore completo da parte della madre Lia, che seppur orfana di entrambi i
genitori fu sempre presente nella vita del figlio cercando a suo modo di
immaginare come potesse agire una madre nei confronti di un figlio.
Difformemente il giovane pensatore “schivo e malinconico” non
riuscì a trovare accoglienza nella vita del padre Graziano che visse uno
stato di allontanamento dalla famiglia per la profonda delusione provocata
dalla sconfitta della guerra.
“Fausto non era in
grado di giudicare i comportamenti dei genitori, non si trattava di questo, di stabilire
cioè se la mamma o il papà agissero bene o male: la mamma era sempre presente,
sicuramente forse anche sbagliando, però c’era, non mancava mai. Il padre, una
volta, quando era piccino, c’era anche lui, e se anche qualche volta lo
sgridava, o proibiva, o allungava le mani, comunque era presente, ma adesso non
c’era più: questo era il frustrante mistero. Perché il padre aveva delegato
tutto alla moglie, anche i propri compiti e doveri?”
Un frustante mistero
che accompagna tutta la vita di Fausto e che lo lega al secondo
protagonista del romanzo “Il trono del
padre – (L’innocenza)” con un salto temporale notevole, infatti, nel
capitolo 1/bis omonimo del primo siamo nel
castello di Schönbrunn a Vienna ed è il 19 novembre 1824.
L’autore Massimo
Pinto ci trasporta abilmente nel secolo precedente utilizzando il raccordo
del mirabile effetto ottico del tramonto la cui luce infiamma, in questo caso, la
collinetta, le vetrate e gli archi della Gloriette. E se Fausto tribolava alla
ricerca di senso per la vita, questo secondo illustre protagonista Napoléon François Charles Joseph Bonaparte
non fu meno nel rifugiarsi nell’astrazione per non cadere facile preda del
dolore che incessantemente prova.
Figlio di “un talamo senza amore” ed orfano di
padre, infatti Napoleone Bonaparte è
deceduto ormai da tre anni durante l’esilio forzato nella piccola isola
Sant’Elena, sperduta nel mezzo dell’oceano Atlantico. Così Napoléon iniziò a
rivolgere le sue parole ad un gruppo marmoreo che raffigurava Enea che salva il padre Anchise durante
la distruzione di Troia.
“Piangeva quell’orfano
perché nessuno, dal maggio del 1821, dopo la solitaria morte del padre in
quella remota isoletta dell’Atlantico meridionale, gli aveva mai tributato il
rispetto dovuto per il suo incommensurabile dolore. Napoléon, peraltro, era pur
sempre un tredicenne e come tale godeva dei privilegi della grazia e allegria,
e anche spensieratezza, che la natura concede a tutti i ragazzi di quell’età,
sempre pronti a mettere da parte la tristezza se le occasioni si presentano.”
Ed è questa la maestosa indagine di Massimo Pinto nel
romanzo “Il trono del padre – (L’innocenza)” edito da Bastogi Libri: la cognizione del sentirsi orfani avendo o
meno un padre affianco, la desolazione di una ricerca continua di amore
paterno che non vede alcun spiraglio nel caso romano per la profonda angoscia
che Graziano vive e, nel caso viennese per la morte naturale ed il precedente
esilio.
E se sovviene nel lettore la domanda: ma seppur in vita Napoleone avrebbe amato suo figlio o la ragion di
Stato avrebbe occupato ogni suo pensiero?
Certo di non poter decretare risposta, il lettore accorto potrà continuare questo viaggio misterico nei
meandri della mente dei due protagonisti che condividono un animo affine malgrado
la grande differenza temporale e sociale che li contraddistingue.
E saremo trasportati
nel ricordo dello scoppio di una bomba a Roma presso le sedi
dell’ambasciata del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda nel 1946, nelle
vicende che portarono alla costruzione
dello Stato di Israele, nella vita di Anna vecchia e sdentata contessa di
origine polacca, nella nascita della Repubblica italiana e dunque le prime
libere elezioni, nei processi che
portarono il celebre Piano Marshall, l’amicizia con Renato e Fabio, la
mancanza di rispetto per i minori, l’innocenza ontologica dell’uomo e del
libero arbitrio.
E per quanto i temi trattati siano molteplici e di grande
importanza per comprendere la storia
della costruzione dell’Europa non posso far meno di immaginare il nostalgico
tredicenne Napoléon che, ricordando la notte dell’ottobre 1812 in cui suo padre
giunse inaspettatamente al palazzo delle Tuileries di Parigi, invoca la grande
storia del grande impero antico nella ricerca di un segno, nel desiderio di
esser grande come Enea, nel desiderio di aver la stessa possibilità di poter
salvare il padre che ha avuto l’eroe troiano.
“Il trono del padre –
(L’innocenza)” offre innumerevoli spunti di riflessione su cui imbandire
giorni di discussioni animate e feconde, concludo
dunque questo breve boccone con una citazione del 2 giugno 1948 di Papa Pio XII
che lo stesso autore Massimo Pinto colloca con maestria nel romanzo:
“Quanto più il mondo
presente mette dinanzi agli occhi lo spettacolo desolante dei suoi dissensi e
delle sue contraddizioni, tanto più stringente è il dovere dei cattolici di
dare un luminoso esempio d’unità e di coesione, senza distinzione di lingue, di
popoli, di stirpi.”
Massimo Pinto è
nato e vive a Roma, laureato in Economia alla Sapienza ed in Teologia presso l’Ateneo
Romano della Santa Croce. È Croce al Merito Melitense del Sovrano Militare
Ordine di Malta. Nel 1998 ha pubblicato il saggio “Stato sociale e persona”.
Recentemente, ed esattamente il 17 giugno 2017, “Il trono del padre” è stato premiato con una Segnalazione Particolare
della Giuria presso la prestigiosa Abbazia di San Fedele a Poppi (Arezzo)
per la 42° edizione del Premio
Letterario Casentino, nella sezione narrativa/saggistica edita.
Written by Alessia Mocci
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